La vescica urinaria è un organo muscolare cavo posto nel bacino, deputato alla raccolta dell’urina prodotta dai reni che vi giunge attraverso gli ureteri.
Dalla vescica l’urina viene periodicamente espulsa all’esterno attraverso l’uretra.
Il muscolo che forma le pareti della vescica è detto muscolo detrusore, un muscolo liscio la cui attività è regolata da fibre nervose che percepiscono il riempimento vescicale e lo comunicano al sistema nervoso centrale.
L’uretra decorre attraverso un diaframma urogenitale costituito da muscolatura striata sottoposta a controllo volontario, o sfintere esterno. Il processo di emissione dell’urina, detto minzione, porta allo svuotamento periodico della vescica urinaria per mezzo di un riflesso automatico del midollo spinale, sempre mediato dal sistema nervoso centrale.
IL TUMORE DELLA VESCICA
Rappresenta circa il 70% delle forme tumorali a carico dell’apparto urinario e circa il 3% di tutti i tumori, peraltro in costante aumento nei Paesi industrializzati.
E’ più comune tra i 60 e i 70 anni ed è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne. La sopravvivenza a 5 anni supera, in Italia, il 70% dei casi.
I fattori di rischio sono:
- componente genetica
- fumo di sigaretta
- l’esposizione cronica alle amine aromatiche e nitrosamine (frequente nei lavoratori dell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio)
- l’assunzione di farmaci come la ciclofosfamide e l’infezione da parassiti come Bilharzia e Schistoma haematobium, diffusi in alcuni paesi del Medio Oriente
- una dieta che contempli il consumo eccessivo di fritture e grassi.
La tipologia di tumore più frequente è il carcinoma a cellule uroteliali che costituisce circa il 97% dei casi.
Altri tipi di cancro alla vescica sono rappresentati dall’adenocarcinoma e dal carcinoma squamoso primitivo, ma sono decisamente meno frequenti. Quest’ultimo è spesso associato alle infezioni da parassiti.
Il tumore della vescica si forma più spesso sulle pareti laterali dell’organo, può avere una forma papillare, cioè come una vegetazione, nella maggior parte dei casi (75%) oppure una forma piatta o nodulare (carcinoma in situ).
I SINTOMI con cui si può presentare il tumore della vescica sono comuni anche ad altre malattie che colpiscono l’apparato urinario:
- presenza di sangue nelle urine e formazione di coaguli
- sensazione di bruciore alla vescica quando si comprime l’addome
- difficoltà e dolore ad urinare
- maggiore facilità a contrarre infezioni
Con la progressione della malattia questi disturbi possono diventare importanti.
Non esistono al momento programmi di screening o metodi di diagnosi precoce scientificamente affidabili, occorre quindi mettere in atto misure di prevenzione legate alle abitudini di vita che consistono nell’abolizione del fumo e in una dieta sana ed equilibrata.
Si ha indicazione all’intervento di cistectomia radicale in quadri di neoplasia vescicale ad alto rischio di progressione, in particolare quando:
- il tumore vescicale invade la parete muscolare
- il tumore occupa una superficie vescicale ampia con concomitante carcinoma in situ
- si hanno recidive frequenti, nonostante una terapia intravescicale con antiblastici o BCG e TURV.
INTERVENTO
Il primo tempo dell’intervento consiste nella creazione dello pneumoperitoneo: la cavità addominale deve essere riempita di anidride carbonica per creare una camera di lavoro per gli strumenti chirurgici robotici.
Una incisione di circa 2 cm a livello sopra ombelicale consente di posizionare sotto visione diretta ed in maniera del tutto atraumatica il primo trocar robotico attraverso il quale si inserisce l’ottica che permetterà al chirurgo di eseguire l’intervento. Si inseriscono successivamente successivamente in cavità peritoneale i successivi 6 trocar operativi, di cui tipicamente 4 gestiti dal primo operatore e 2 dall’assistente.
La tecnica robotica consente di operare con un ingrandimento visivo fino a circa 20 volte e con una visione a 3 dimensioni. Questo permette al chirurgo di apprezzare la profondità di campo, cosa non possibile ad esempio con la tecnica laparoscopica classica. La visione intraoperatoria robotica permette di riconoscere anche i più piccoli dettagli anatomici e di eseguire l’intervento con una accuratezza significativamente superiore a quanto sia possibile ottenere con la chirurgia classica a cielo aperto o con la chirurgia laparoscopica classica.
Il primo tempo operatorio è rappresentato dall’isolamento delle vescicole seminali, attraverso una piccola breccia eseguita nel peritoneo parietale che riveste il cavo del Douglas, al di sopra dell’intestino retto.
Completato l’isolamento delle vescicole seminali, dalla cavità peritoneale si accede allo spazio pelvico dove sono localizzate la vescica e la prostata (nell’uomo) e l’utero, le ovaie e la porzione anteriore della vagina nella donna.
Si procede quindi alla rimozione dei linfonodi pelvici (linfoadenectomia), a cui afferisce la linfa prodotta dalla vescica, bilateralmente. I linfonodi sono piccoli organelli che hanno la funzione di filtrare liquidi e proteine provenienti da tutto l’organismo.
Quando un organo si ammala di tumore è possibile che alcune cellulare tumorali escano dai confini dello stesso e vengano naturate dai linfonodi più vicini. Per questo motivo in tutti i pazienti affetti da neoplasia vescicale candidati a cistectomia radicale la rimozione dei linfonodi viene eseguita al fine di ottenere una più precisa stagnazione della malattia ed anche perché la rimozione di eventuali linfonodi ammalati può avere un valore terapeutico.
La tecnica robotica permette di eseguire linfoadenectomie estremamente estese ed accurate e quindi la tecnica si presta ad essere utilizzata con successo anche in pazienti con tumore della vescica.
Completata la linfoadenectomia, si procede all’isolamento degli ureteri e alla loro
disconnessione dalla vescica. I margini di resezione degli ureteri vengono
immediatamente inviati al Servizio di Anatomia Patologica per assicurare l’assenza di malattia neoplastica a livello del tratto terminale degli ureteri. Successivamente si procede alla rimozione della vescica e della prostata (nell’uomo) oppure dell’utero, delle ovaie e della parete anteriore della vagina (nella donna) con una tecnica anterograda. Se viene rimossa la prostata, il paziente non sarà più in grado di eiaculare e quindi avere figli.
Inoltre potrà avere problemi durante i rapporti sessuali. Anche le pazienti, in caso di rimozione dell’utero, non potranno più avere figli per via naturale. Inoltre, se il chirurgo rimuove parte della vagina, la qualità dei rapporti potrà risentirne. A seconda delle caratteristiche della malattia e dell’età del paziente si procede nell’isolamento e nella sezione dei peduconcoli vascolari vescicali e prostatici o vaginali ponendo la massima attenzione per salvaguardare i nervi deputati alla funzione sessuale, quando ciò risulta oncologicamente sicuro e indicato.
Si procede quindi alla sezione del plesso venoso di Santorini ed alla sua successiva sutura emostatica con punti posti sotto visione diretta. Si procede poi a sezionare l’uretra a livello dell’apice prostatico e a questo punto il pezzo operatorio, completamente liberato, viene riposto in un apposito contenitore (Endobag).
L’asportazione della vescica comporta di necessità l’esigenza di derivare le urine, non essendo più possibile la loro raccolta all’interno della vescica e la loro conseguente eliminazione. Ciascuna delle derivazioni urinarie indicate presenta peculiari benefici, svantaggi e possibili complicanze.
L’intervento ha un durata di 3-6 ore a seconda della tecnica chirurgica adottata e delle condizioni anatomiche del paziente.
L’urologo consiglia la derivazione urinaria più adatta alle condizioni generali e al quadro complessivo della malattia vescicale oltre alle possibili implicazioni per la sua qualità di vita successiva all’intervento.
Le derivazioni urinarie realizzabili con tecnica robotica presso il nostro Centro sono:
- NEOVESCICA ILEALE ORTOTOPICA
- URETEROILEOCUTANEOSTOMIA (BRICKER)
- URETEROCUTANEOSTOMIA (UCS)
NEOVESCICA ILEALE ORTOTOPICA
Nel caso in cui il paziente sia in buone condizioni generali e la malattia, durante l’intervento chirurgico, risulti confinata alla vescica senza il coinvolgimenti dell’uretra e degli ureteri, la derivazione urinaria che si prospetta più frequentemente è una neovescica ortotopica, cioè la ricostruzione di una vescica nuova utilizzando un segmento di circa 40-60 cm di intestino ileale, adeguatamente configurato in modo da assumere l’aspetto di una cavità sferoidale a ci vengono abboccati gli ureteri.
Dopo aver prelevato il segmento intestinale necessario per creare la nuova vescica, verrà ripristinata la continuità dell’intestino tramite l’utilizzo di suturartici meccaniche.
Esistono diversi tipi di conformazioni neovescicali, la scelta dipenderà dalla conformazione del paziente e dal chirurgo. La neovescica viene posizionata nello scavo pelvico e anastomizzata, ossia “ri-agganciata” al tratto rimanente dell’uretra. La neovescica funzionerà come serbatoio per l’urina e dovrà essere svuotata periodicamente.
Il paziente dovrà inoltre essere motivato e consapevole della necessità di una riabilitazione per apprendere il nuovo modo di urinare. La minzione si attuerà attraverso la compressione della neovescica dopo aver rilasciato la muscolatura del piano peritoneale ed avverrà aumentando la pressione dei muscoli addominali o con la compressione manuale.
Potrebbe essere necessario nei primi mesi dopo l’intervento svuotare questo nuovo serbatoio eseguendo dei cateterismi cioè inserendo periodicamente nell’arco della giornata un piccolo catetere che svuoti la vescica.
URETEROILEOCUTANEOSTOMIA (BRICKER)
Il confezionamento della neovescica è controindicato in alcuni casi:
- malattia non confinata alla vescica
- coinvolgimento neoplastico dell’uretra
- coinvolgimento neoplastico degli ureteri
- stato di decadimento generale del paziente
- incontinenza urinaria preoperatoria
- pregressa radioterapia
- funzionalità renale di partenza non ottimale
- patologie intestinali (retto colite ulcerosa, morbo di Chron, patologie da malassorbimento, pregresse neoplasie intestinali, pregressi interventi chirurgici intestinali)
- conformazione del paziente, per cui potrebbero venire meno i vantaggi della neovescica.
In questi casi si opterà per un altro tipo di derivazione urinaria chiamata uretero-ileo-cutaneostomia.
In questo caso si utilizza un segmento di 15-20 cm di intestino (ileo), a cui vengono abboccati gli ureteri. L’uretere di sinistra viene mobilizzate contro lateralizzato a destra per potere essere connesso al tratto intestinale isolato. Dopo aver ripristinato la continuità intestinale, il segmento prelevato verrà anastomizzato, ossia “attaccato”, alla cute a livello del quadrante inferiore destro dell’addome.
E’ sicuramente la tecnica più utilizzata. L’urina, che defluisce continuamente attraverso gli ureteri e il condotto ideale, viene raccolta in un sacchetto applicato con adesivo in corrispondenza della storia cutanea.
Il sacchetto è provvisto di una via d’uscita per mezzo della quale può essere svuotato periodicamente.
La presenza della stomia, per quanto in genere difficile da accettare all’inizio, non compromette irrimediabilmente la qualità di vita del paziente se istruito all’utilizzo corretto e a piccoli espedienti atti a rendere normale la vita quotidiana.
URETEROCUTANEOSTOMIA (UCS) MONO O BILATERALE
Consiste nel mettere in comunicazione gli ureteri diretta e te dall’esterno della cute, per permettere all’urina di defluire all’esterno e raccoglierla in due sacchetti (UCS bilaterale), o in un sacchetto (UCS monolaterale) simili a quelli descritti per la ureteroileocutaneostomia.
L’UCS può essere una soluzione definitiva per permettere una radioterapia o in c sai in cui non sia possibile utilizzare l’intestino.
Viene posizionato sin catetere all’interno dell’uretere per evitare il restringimento della sotmia che verrà sostituito periodicamente ogni 3-6 mesi.
Durante l’intervento vengo posizionati:
- un sondino nasogastrico (che viene rimosso al termine dell’intervento o la giornata successiva)
- un drenaggio nello scavo pelvico (normalmente rimosso tra la quarta e la decima giornata)
- due tutori ureterali, che vengono di solito rimossi in decima-dodicesima giornata a seconda della tecnica chirurgica eseguita
- in caso di neovescica ortotopica, viene posizionato anche un catetere neovescicale che fuoriesce dal meato uretrale.
Il paziente viene fatto alzare dal letto già in prima giornata post operatoria e compatibilmente con la naturale ripresa delle sue energie, viene mobilizzato in misura sempre maggiore.
E’ bene che il paziente non appena possibile inizi a passeggiare nel corridoio per favorire la ripresa della normale circolazione, per evitare la formazione di trombi nelle vene degli arti inferiori e per facilitare la normale ripresa della attività intestinale.
Nel frattempo viene mantenuto la terapia antidolorifica che viene progressivamente ridotta da continua a “al bisogno”: questo passaggio viene effettuato gradualmente al fine di garantire il controllo del dolore favorendo tuttavia la ripresa del funzionamento intestinale che viene rallentata dai farmaci analgesici.
Nel post operatorio, compatibilmente con il rischio di sanguinamento, verrà impostata una profilassi della patologia tromboembolica con eparina a basso peso molecolare, che verrà proseguita per 20-30 giorni. Al paziente verrà insegnato come eseguire la somministrazione del farmaco sottocute. Inoltre verranno fornite precise indicazioni sulla ripresa di eventuali terapie domiciliari.
Il paziente potrà iniziare a bere ed alimentarsi in modo graduale già dalla giornata successiva all’intervento, compatibilmente con la ripresa della motilità intestinale. Le verrà proposto di masticare chewing-gum alla frutta (tipo “bubble-gum”) già alcune ore dopo la fine dell’intervento e di succhiare caramelle alla frutta tipo “gelèe”: ciò stimola la ripresa nella naturale peristalsi intestinale. Poi verranno progressivamente introdotti omogeneizzati alla frutta, alla carne, yogurt, gelati e quinti cibi solidi. La ripresa dell’alimentazione dovrà avvenire progressivamente e con prudenza e se il paziente lo gradisce. La ripresa dell’alimentazione è comunque auspicabile, per contrastare tutti gli effetti negativi dello stress chirurgico e per riprendere quanto prima il suo equilibrio, procedendo verso la guarigione.
Si prevede una degenza che varia tra 8 ed i 15 giorni in funzione della derivazione urinaria utilizzata, salvo complicazioni. La preghiamo di tenere presente che il confezionamento di una neovescica ha tempi di degenza spesso più lunghi rispetto alle altre derivazioni.