Il nostro Reparto di Urologia si occupa della prevenzione, diagnosi e cura di tutte le patologie a carico dell’apparato urinario maschile e femminile e degli organi genitali maschili esterni.
È una patologia piuttosto frequente, la cui prevalenza varia tra il 4% e il 20% nei paesi industrializzati e tra l’1% e il 5% in quelli in via di sviluppo. In Italia affligge in media il 6-9% della popolazione, con incidenze intorno a 100.000 nuovi casi l’anno e prevalenze di 250.000 casi/anno comprendendo le recidive. L’etnia sembra essere un fattore di rischio, con prevalenze maggiori tra uomini caucasici seguiti da ispanici, asiatici e afro-americani.
Altri fattori correlati con questa patologia sono l’età, la dieta, la familiarità, la geografia e il clima – con maggiore distribuzione nei Paesi caldi – l’occupazione lavorativa – gli addetti agli altiforni presentano maggiore incidenza – l’Indice di massa corporea (IMC).
Riguardo al ruolo dell’apporto di liquidi e alle caratteristiche dell’acqua, è ampiamente dimostrato che un abbondante apporto di acqua previene lo sviluppo della patologia.
Tra i calcoli più diffusi possiamo certamente annoverare quelli formati da ossalato di calcio cioè dalla combinazione di acido ossalico e calcio.
Una assunzione alimentare sufficiente di magnesio e citrato inibisce la formazione di ossalato di calcio e i calcoli di fosfato di calcio; inoltre, magnesio e il citrato operano sinergicamente per inibire i calcoli urinari. L’efficacia del magnesio ad evitare la formazione di calcoli e la loro crescita è dose-dipendente.
La disidratazione dovuta ad una bassa assunzione di liquidi è un fattore importante nella formazione dei calcoli. Anche l’obesità è uno dei principali fattori di rischio.
Un elevato apporto alimentare di proteine animali, di sodio, di zuccheri raffinati, di fruttosio e sciroppo di fruttosio, di ossalato, di succo di pompelmo e di succo di mela, può aumentare il rischio di formazione di calcoli urinari.
I calcoli urinari possono derivare anche da una condizione metabolica di base, come ad esempio l’acidosi tubulare distale renale, la malattia di Dent, l’iperparatiroidismo, l’iperossaluria primaria, o il rene a spugna midollare. Tra il 3% e il 20% delle persone che soffrono di calcoli urinari, ha quest’ultima patologia.
I calcoli urinari sono più comuni nelle persone con malattia di Crohn in quanto questa condizione è correlata con iperossaluria e malassorbimento di magnesio.
Alcuni studi suggeriscono che le persone che assumono integratori alimentari di calcio o vitamina D hanno un rischio maggiore di sviluppare calcoli urinari. L’escrezione urinaria di calcio può aumentare in risposta alla supplementazione di vitamina D in alcuni soggetti affetti da calcolosi renale. Tali individui, in virtù di una particolare predisposizione, possono sviluppare una franca ipercalciuria e una vera e propria calcolosi in risposta alla supplementazione con vitamina D .
Una persona con calcoli urinari ricorrenti può essere sottoposta a screening per tali condizioni. Questo in genere è fatto tramite una analisi delle urine prodotte nel corso di 24 ore.
Al giorno d’oggi la calcolosi urinaria viene trattata principalmente in maniera mininvasiva per via endoscopica e per via percutanea con una ridotta ospedalizzazione per il paziente che consente una rapida ripresa delle normali attività quotidiane.
Gli strumenti utilizzati per il trattamento endoscopico e percutaneo della calcolosi sono sempre più miniaturizzati e specializzati.
Le nostre sale operatorie sono dotate di macchinari di ultima generazione che permettono, attraverso l’emissione di energia laser, di determinare la frammentazione dei calcoli fino a ridurli in polvere e quindi facilmente eliminabili.
Il trattamento chirurgico endoscopico viene eseguito spesso in regime di day hospital e solo nel caso in cui si utilizza la via percutanea all’apparato urinario, cioè un piccolo forellino di circa 5 mm sul fianco del paziente, viene richiesta la permanenza del paziente fino al giorno successivo.
In particolari casi di calcolosi renale, che occupa completamente le cavità dell’organo, è possibile effettuare un trattamento chirurgico laparoscopico o robotico attraverso 4 forellini di 5 mm sul fianco del paziente e una piccola incisione di massimo 3 cm per estrarre completamente il calcolo. Anche in questo caso la ripresa delle normali attività fisiche si verifica entro 48 ore.
La buona organizzazione di uno Stone Center deve prevedere il rapido inquadramento clinico e radiologico della patologia e un altrettanto rapido trattamento al fine di risolvere prontamente la patologia.
L’incontinenza urinaria, ovvero la perdita involontaria di urine obiettivamente dimostrabile e di entità tale da costituire un problema igienico sanitario, è una problematica ampiamente diffusa che vede una netta prevalenza del disturbo nel sesso femminile rispetto a quello maschile.
Fattori di rischio dell’incontinenza urinaria risultano essere:
Esistono diverse forme di incontinenza:
Per il corretto inquadramento diagnostico e il conseguente iter terapeutico è necessario eseguire diversi esami:
Nello specifico, nella definizione del tipo e della gravità dell’incontinenza urinaria, fondamentale è l’esecuzione dell’esame urodinamico invasivo, indagine funzionale composta da diversi test:
In relazione al tipo di incontinenza, diversi sono gli approcci terapeutici.
Nello specifico si distinguono:
Diverse sono le possibili tecniche:
Conosciuta anche come adenoma prostatico (BEP), è una malattia a carico della ghiandola prostatica. Si tratta di un suo aumento di volume dovuto all’incremento del numero di cellule epiteliali e somali e alla formazione di noduli.
La ghiandola ingrossata può comprimere il canale uretrale, causandone una parziale ostruzione e interferendo con la capacità di urinare.
Si tratta di una patologia benigna e reversibile, molto comune negli uomini: colpisce il 5-10% degli uomini dopo i 40 anni e oltre l’80% dopo i 70 e 80 anni, ma produce sintomi solo nella metà dei soggetti.
Le principali CAUSE sono l’invecchiamento e i cambiamenti ormonali nell’età adulta, ma non sono da sottovalutare la predisposizione genetica e la familiarità.
L’ingrossamento della ghiandola prostatica porta a due tipi di SINTOMI: quelli urinari di tipo ostruttivo e quelli di tipo irritativo.
La compressione sul canale uretrale complica la minzione, per cui il paziente ha difficoltà ad iniziare la minzione, avverte intermittenza di emissione del flusso e incompleto svuotamento della vescica.
Spesso è sufficiente una visita urologica con esplorazione rettale digitale, ma per avere un quadro completo lo specialista potrebbe richiedere al paziente di sottoporsi ad alcuni esami come un prelievo di sangue per identificare il dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico), l’uroflussimetria con valutazione del residuo post-minzionale e l’ecografia prostatica trans-rettale).
La PREVENZIONE consiste in una diagnosi precoce che si ottiene sottoponendosi a controlli periodici dopo i 40-50 anni e prontamente al manifestarsi di problematiche.
E’ importante avere uno stile di vita sano, non fumare, fare attività fisica e seguire un’alimentazione varia ed equilibrata, povera di grassi, infine bere almeno due litri d’acqua al giorno.
Gli alfa-bloccanti procurano un sostanziale miglioramento dei sintomi in quanto rilassano la muscolatura della prostata e del collo vescicale ma possono causare eiaculazione retrograda.
Gli inibitori della 5a-reduttasi sono un altro trattamento pratica, in abbinamento agli alfa-bloccanti hanno portato ad una drastica diminuzione del volume della prostata in persone con ghiandole molto ipertrofiche.
Vi è anche una notevole evidenza dell’efficacia di Fitoterapici nell’alleviare in maniera moderata i sintomi della patologia.
In caso di fallimento del trattamento medico può rendersi necessario un trattamento chirurgico:
Adenomectomia Open Surgery significa rimuovere l’adenoma mediante il tradizionale taglio chirurgico, nella variante trans vescicale (ATV) o infravescicale ((Millin).
Interventi tuttora definiti “gold standard” in caso di prostate veramente voluminose sono:
Resezione transuretrale dell’adenoma prostatico (TURP): prevede la resezione di parte della prostata attraverso l’uretra, è consigliabile per prostate fino ad un certo volume e presenta il vantaggio della mini-invasività, ovvero evitare tagli e un recupero operatorio più rapido.
Esistono anche alcune nuove tecniche per ridurre il volume della prostata ipertrofica, alcune delle quali non sono ancora abbastanza sperimentate per stabilire i loro effetti definitivi. Esse prevedono vari metodi per distruggere parte del tessuto ghiandolare senza danneggiare quello che rimarrà in sito. Fra queste si ricordano:
Nuove tecniche che comportano l’impiego di laser in urologia sono state sperimentale negli ultimi 10 anni. Si è iniziato con la VLAP: tecnica che usa uno YAG laser a contatto con il tessuto prostatico.
Una tecnologia simile, emersa recentemente, è chiamata Photoselective Vaporization of the Prostate (PVP) ed usa un laser luce verde (KTP). Questa procedura utilizza un laser a d alta potenza di 80 Watt KTP con una fibra laser di 550 micron inserita nella prostata. Questa fibra ha una riflessione interna di 70 gradi ed è usata per vaporizzare il tessuto della capsula prostatica. IlKTP laser ha una penetrazione di 2.0 mm (quattro volte più profonda del laser ad Olmio).
Un altra procedura chiamata Holmium Laser Ablation of the Prostate (HoLAP) si basa su laser HoLAP che è un dispositivo la cui sonda di 550 micron e una potenza di 100 Watt e un angolo di riflessione di 70 gradi. La sua profondità di passata è di 2,140 nm che cade nella zona invisibile dell’infrarosso e non può essere visto ad occhio nudo.
La profondità dei penetrazione del laser ad Olmio è inferiore a 0,5 mm evitando così le necrosi tessutali stesso causate dal laser a profonda penetrazione della tecnica KTP.
Entrambi i metodi, KTP ed Olmio, alano circa 1 o 2 grammi di tessuto al minuto.
È una visita medica, non dolorosa e non invasiva, che viene effettuata dall’urologo.
Ha come obiettivo quello di diagnosticare, escludere o monitorare un disturbo di carattere urologico, tra cui: incontinenza urinaria, infezioni e calcolosi delle vie urinarie, disturbi legati alle funzioni sessuali, neoplasie, infezioni genitali maschili e femminili, prostatiti (nell’uomo).
Nella prima fase della visita lo specialista raccoglie il maggior numero di informazioni sulla storia clinica e sullo stile di vita del paziente facendo domande su: alimentazione abitualmente seguita, eventuale vizio del fumo, eventuale consumo di alcol, livello di attività fisica e di sedentarietà, presenza di eventuali patologie o altri casi in famiglia di patologie urologiche, eventuale assunzione di farmaci e, infine, anche informazioni sulla vita sessuale.
La seconda parte della visita differisce in base al genere sessuale del paziente: se è uomo il medico procede a un’attenta valutazione del basso addome e della zona genitale esterna. Nel corso di questa visita può anche essere effettuato il controllo della prostata mediante palpazione dal canale rettale per verificare lo stato di salute di questa ghiandola. In base alle rilevazioni effettuate nel corso della visita, lo specialista può richiedere l’esecuzione da parte del paziente di alcuni esami, come esami delle urine, uroflussimetria, ecografie dell’apparato urinario/genitale, per ulteriori accertamenti.
Nel caso della donna la visita urologica è simile a una visita ginecologica. Dopo aver effettuato l’anamnesi della paziente, l’urologo procede alla valutazione dello stato di salute dell’apparato urinario, escludendo o individuando la presenza di prolassi della vescica e/o dell’utero. Spesso richiede l’esecuzione di un’ecografia del basso addome, con o senza sonda transvaginale.